Università degli studi di Firenze _________________ _____ FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI
Corso di laurea in Informatica

PIC

Studio della camminata

tramite accelerometri e sistemi GPS

Candidato:
Samuele Carli

Relatore:
Prof. Marco Rosa Clot

______________________________________________________________________________ Anno Accademico
2007/2008

This work is licensed under the Creative Commons Attribution 3.0 United States License. To view a copy of this license, visit http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/us/ or send a letter to Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA.

Chi non ha mai commesso un errore
non ha mai provato a fare qualcosa di nuovo.
Albert Einstein

Indice

Introduzione
1 Dall’accelerazione alla posizione
 1.1 Ricostruzione di un moto unidimensionale
  1.1.1 Le misure accelerometriche
  1.1.2 Alcuni metodi sperimentati
   Uso delle tolleranze
   Approssimazione polinomiale
   Ipotesi sulla natura del moto
   Ipotesi più restrittive
 1.2 Il filtro di Kalman
  1.2.1 Lavori analoghi
 1.3 Ricostruzione di un moto bidimensionale
  1.3.1 Moto rotatorio in un piano perpendicolare al terreno
2 Ricostruzione di una camminata
 2.1 Studio del movimento
 2.2 Ricostruzione del movimento
  2.2.1 Isolamento dei passi
  2.2.2 Calcolo delle posizioni
3 Integrazione con altre sorgenti di dati
 3.1 Il sistema GPS
   Descrizione
   Localizzazione dell’utente
   Caratteristiche del sistema
 3.2 Accelerometri e GPS: stato dell’arte
Conclusioni
A Un breve sguardo alle implementazioni
B Accelerometro usato per le sperimentazioni
 B.1 Misure sperimentali
  B.1.1 Velocità di campionamento
  B.1.2 Scala e risoluzione
Ringraziamenti

Introduzione

Il posizionamento autonomo di precisione, inteso come misura delle velocità tenute e degli spazi percorsi senza interazione con il mondo esterno, è un argomento che suscita interesse da lungo tempo: dal tracciamento delle traiettorie dei missili balistici alla navigazione automatica inerziale degli aerei di linea commerciali, dal movimento di bracci meccanici ad applicazioni biomediche o sportive, negli ultimi cinquant’anni le idee messe in gioco sono state innumerevoli.
La tecnologia odierna permette di costruire sensori accelerometrici di buona precisione e di dimensioni sufficientemente ridotte da poter essere utilizzati in una serie molto vasta di contesti, ma il problema numerico di ricostruire dei dati utili e precisi dalle misure accelerometriche è ancora aperto: esistono soluzioni semplici ed efficaci oppure i problemi intrinseci legati all’integrazione di segnali rumorosi non sono risolvibili? Esistono soluzioni universali oppure ogni problema deve essere affrontato in maniera diversa?
Questo lavoro è nato con lo scopo di valutare i risultati che si possono ottenere da un particolare sistema accelerometrico progettato e realizzato da un’azienda italiana.
Nel primo capitolo si prende in considerazione il problema generico di ricostruire un movimento a partire dall’accelerazione misurata dallo strumento in dotazione. Già dalle prime misure sperimentali vengono alla luce i seri problemi dovuti alle derive stocastiche degli integrali e conseguentemente vengono presentati alcuni tentativi di porvi rimedio attraverso semplici metodi numerici; in letteratura molte fonti propongono i filtri di Kalman come ottima soluzione al problema e pertanto ne è stata considerata l’applicabilità in questo contesto.
L’osservazione dei risultati ottenuti ha suggerito l’inesistenza di metodi che siano al tempo stesso semplici, decontestualizzati e in grado di fornire risposte utili; il filtro di Kalman è uno strumento potente ma si è rivelato utile soltanto quando si hanno a disposizione più fonti di informazione da incrociare.
Si è quindi proseguito su questa strada considerando un caso particolare: la misurazione del passo in una camminata.
A questo scopo viene presentato un metodo che, rilevando i singoli passi, è in grado di fornire risposte credibili. Per migliorare i risultati del metodo si è deciso di prendere in considerazione l’utilizzo di una fonte di informazioni esterne come il Global Positioning System; a tal fine ne sono state considerate le caratteristiche e quindi l’applicabilità nel contesto dello studio della camminata, a partire dai molti lavori che si trovano in letteratura.

Capitolo 1
Dall’accelerazione alla posizione: ricostruire il movimento di un corpo

Il problema della ricostruzione del movimento di un corpo nello spazio conoscendo la sua accelerazione istantanea ha un primo approccio molto semplice ed intuitivo. Indicando con a(t) la funzione che rappresenta l’andamento dell’accelerazione del corpo nel tempo lungo un asse, con una integrazione si ottiene subito:

           ∫
              t
v(t) = v0 +    a(t)dt
             0
(1.1)

che è ancora una funzione del tempo e rappresenta la velocità istantanea del corpo. Mediante un’altra integrazione si arriva subito alla funzione:

           ∫  t
s(t) = s +     v(t)dt
        0    0
(1.2)

che è la soluzione al problema iniziale, ovvero si ha una funzione del tempo che rappresenta la posizione nello spazio del corpo considerato.

Nella pratica non si ha a disposizione l’andamento dell’accelerazione in forma funzionale, ma solo un’approssimazione per campioni equidistanti nel tempo. Indicando con τ l’inverso della frequenza di campionamento, ovvero la durata di un periodo, e con a[t] la misura corrispondente al quanto che spazza l’intervallo di tempo [tτ, (t + 1)τ], le integrazioni (1.1) e (1.2) possono espresse in questo modo:

             t−1
             ∑
v[t] = v0 + τ    a[t],           t = 1, 2,...,n
              0
(1.3)

e

             t∑−1
s[t] = s0 + τ    v[t],           t = 1, 2,...,n
              0
(1.4)

I valori a[t] sono il risultato di un processo di digitalizzazione e sono soggetti ad errori di misura che vengono introdotti sia durante il processo di quantizzazione (che per definizione impone l’approssimazione di una grandezza continua con una discreta), sia durante il processo stesso di misura (dovuti presumibilmente al tipo di sensore, alle tolleranze di realizzazione, etc. ).

Il processo di integrazione di un segnale affetto da errore (o rumore) è soggetto a una deriva di ordine di grandezza proporzionale al numero di passi di integrazione (  ---
√ N per la prima integrazione, N√ ---
  N per la seconda, [6, 7]). Questo rende di fatto impraticabile l’applicazione diretta delle formule (1.3) e (1.4), dato che l’integrazione anche su soli 250 campioni può comportare un errore significativo; occorre trovare un metodo per eliminare o quantomeno limitare la ripercussione degli errori di misura sul risultato del calcolo.

1.1 Ricostruzione di un moto unidimensionale: doppia integrazione nel caso di processi stocastici unidimensionali

1.1.1 Le misure accelerometriche

L’accelerometro fornisce valori numerici di 8 bit, ovvero ad ogni misura corrisponde un numero intero x [0, 255]. Secondo le specifiche tecniche l’accelerometro ha un fondoscala di 6g, ovvero si dovrebbe ottenere come output 0 misurando 6g e 255 misurando +6g con una risoluzione di 12256 = 0.046875g∕digit.
In realtà ogni accelerometro, per motivi tecnologici di tolleranze di realizzazione, si comporta in maniera leggermente diversa e talvolta non esattamente simmetrica: la risoluzione risulta leggermente peggiore (circa 0.055g∕digit) e diversa per ogni asse.
Le caratteristiche reali dell’accelerometro usato per le misure effettuate durante questo lavoro, ricavate sperimentalmente, sono riportate in appendice B.

1.1.2 Alcuni metodi sperimentati

In questa sezione sono illustrati alcuni dei metodi sperimentati finalizzati alla ricostruzione di movimenti unidimensionali generici. Lo scopo di questi metodi è quello di valutare se sia possibile mitigare il fenomeno delle derive agendo direttamente sul segnale accelerometrico senza conoscere il tipo di moto che si vuole misurare.

Riduzione della deriva tramite l’uso di tolleranze

Il primo problema che ci si trova ad affrontare è relativo al comportamento dell’accelerometro fermo. Come si vede in figura 1.1, la misura che si ottiene è costituita da una serie di valori che oscillano intorno al quanto che più si avvicina al valore reale. Le oscillazioni non hanno una distribuzione uniforme intorno al quanto in questione, ma questa si sposta verso il quanto precedente o successivo in funzione del valore reale della misura.
Queste oscillazioni sono però la causa principale della divergenza dei processi di integrazione, i quali darebbero origine a risultati migliori in presenza di un segnale meno preciso ma non affetto da rumore.


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Figura 1.1: Misure su un asse ad accelerometro fermo


La prima cosa che si fa è “lisciare” i valori ottenuti ed eliminare per quanto possibile le fluttuazioni intorno allo zero. Indicando con A[x] l’array che contiene i valori misurati, si modifica ogni campione secondo la regola:

                       w
       scaleF actor x+∑ 2-
A[x] = ------------      F tol(A[i],aT ol,off set)
            w       i=x− w-
                        2
(1.5)

dove w rappresenta il numero di campioni che si vogliono mediare, aTol la tolleranza per le fluttuazioni sull’accelerazione, offset il valore corrispondente allo zero, scaleFactor il fattore di scala da quanti a m∕s2 e la funzione Ftol(x,y,z) è così definita:

              {  0       se abs (x ) <= y
Ftol(x,y,z) =
                 x − z   altrimenti
(1.6)

Così facendo si ottiene come risultato uno smoothing come mostrato in figura 1.2; questo non risolve completamente il problema dell’integrazione, ma permette di usare il valore precedentemente ricavato come zero in maniera efficace.
Si calcola quindi la velocità come integrazione cumulativa dei valori in A:

         ∑x
V[x] = dt    A [i]
          i=0
(1.7)

Se la tolleranza aTol sull’accelerazione è stata scelta bene, la funzione di smoothing è sufficiente a far si che l’integrale non diverga quando l’accelerometro è fermo, in quanto riesce a smorzare efficacemente tutte le oscillazioni stocastiche senza sacrificare troppo la precisione di misura.
Il problema del rumore rimane tuttavia durante la fase di moto dell’accelerometro, e questo rende difficile una misura accurata della velocità finale del corpo. Quello che succede infatti è che la deriva dell’integrale dovuta al rumore, insieme ad una non perfetta simmetria rispetto allo zero dell’accelerometro, impedisce al valore finale dell’integrale di tornare esattamente a zero anche solo dopo un moto molto breve e deciso del sensore; questo fatto ha un risultato disastroso in quanto si considera che il corpo viaggi a velocità costante quando questo invece è fermo, il che introduce un errore che si ripercuoterà su tutte le misure future che saranno eseguite da questo momento in poi.
É quindi necessario introdurre una tolleranza anche sul valore finale della velocità, che permetta di arginare il problema, almeno parzialmente, imponendo la velocità finale (o la variazione di essa) nulla , anche se l’integrale non ha come risultato esatto zero, ovvero:

         {
           0       se V fin < tolV
V f in =    V f in   altrimenti
(1.8)

Per il calcolo dello spostamento infine si procederà per integrazione della velocità secondo l’equazione (1.4). Si può vedere un risultato ottenibile con questo metodo nella figura 1.3.
Con questo metodo si ha una stabilità accettabile quando il sensore è fermo e si riesce a ottenere una precisione nell’ordine del centimetro su metro su dei movimenti semplici e decisi. Il risultato è però molto influenzato dal tipo di movimento a cui viene soggetto l’accelerometro; se questo risulta poco deciso o comunque troppo prolungato nel tempo l’accumulazione degli errori porta molto spesso fuori dalle tolleranze sulla velocità e rende inservibile la misura.
In conclusione questo metodo risulta applicabile in contesti particolari dove i movimenti sono decisi e ben limitati nel tempo, ma non per movimenti generici del sensore.


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Figura 1.2: Risultato della funzione di smoothing a finestra



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Figura 1.3: Accelerazione, velocità e spazio per un movimento di andata e ritorno lungo 40 centimetri con il metodo delle tolleranze. Si noti come la tolleranza sulla velocità sia stata fondamentale sull’errore che si era formato intorno al campione 900. (1000 campioni al secondo)



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Figura 1.4: Risultato della funzione di smoothing a polinomio interpolante



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Figura 1.5: Accelerazione, velocità e spazio per lo stesso movimento di andata e ritorno della figura 1.3, ma calcolato con l’integrazione polinomiale.



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Figura 1.6: Differenza tra spazio (nero) e velocità (verde) risultanti dal metodo delle tolleranze e dall’approssimazione polinomiale. (tolleranza-polinomiale).


Approssimazione e integrazione per mezzo di polinomi

Un approccio diverso consiste nell’approssimare l’andamento dell’accelerazione per mezzo di un polinomio interpolante. Si cerca un polinomio della forma:

pn(x) = a0 + a1x + a2x2 + ...+  anxn
(1.9)

che sia interpolante i dati misurati. La scelta del grado del polinomio è delicata e va operata in funzione sia della grandezza dei blocchi di campioni che si vogliono considerare, sia del tipo di movimento che si sta misurando (variazioni di accelerazione per secondo). Sperimentalmente, sulla dimensione dei blocchi di 500 campioni e per il tipo di movimento testato, il grado 8 si è rivelato un buon compromesso. Il risultato dell’applicazione di questo metodo è visibile in figura 1.4.
L’approssimazione per mezzo di polinomi ha il vantaggio di permettere il calcolo della prima integrazione con un costo computazionale molto ridotto e un’elevata precisione. Si può ricavare matematicamente il polinomio che approssima la velocità:

        ∫

vp(x) =    pn(x)dx
(1.10)

e quindi ottenere l’andamento della velocità valutando vp(x) sui vari istanti di campionamento:

                      ∫ t
V [t] = vp(t) + A[0] =   pn(t)dt
                       0
(1.11)

Anche in questo caso si rende necessaria l’adozione di una tolleranza sul valore finale della velocità, secondo l’equazione (1.8). Come nel caso precedente si va poi a calcolare lo spazio secondo l’equazione (1.4), per ottenere un risultato come quello in figura 1.5.
In conclusione questo metodo non offre vantaggi rispetto al metodo delle tolleranze: la stabilità della misura spaziale a sensore fermo è peggiore (le oscillazioni sono più pronunciate), il costo computazionale è molto più elevato e il risultato non è sostanzialmente diverso dal primo, come si può vedere in figura 1.6.

Ipotesi sulla natura del movimento


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Figura 1.7: Accelerazione, velocità e spazio per lo stesso movimento in figura 1.3, calcolati con l’integrazione localizzata.



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Figura 1.8: Differenza tra spazio (nero) e velocità (verde) risultanti dal metodo delle tolleranze e integrazione localizzata.


Guardando con occhio critico i risultati ottenuti con i metodi appena presentati, si conclude immediatamente che trovare una soluzione valida e semplice al caso del moto generico con elaborazione in real time non è un problema che ammette una soluzione semplice ed allo stesso tempo efficace. Gli errori stocastici di misura non sono modellabili e generalmente non hanno una distribuzione fissa ma dipendente dal contesto fisico momentaneo in cui si trova il sensore; questo rende di fatto molto difficile, se non impossibile, apportare delle correzioni al segnale dell’accelerazione che siano compatibili con la realtà, e in generale queste correzioni difficilmente possono risolvere il problema delle derive degli integrali.
Se si conosce, anche solo parzialmente, il tipo di movimento che si vuole studiare, la costruzione di un modello per il moto solitamente porta numerosi vantaggi. In generale, un modello ha lo scopo di fornire delle informazioni sulle reazioni che il corpo deve avere in dei contesti noti, cosa che permette di apportare delle correzioni sensate sia al risultato delle integrazioni del segnale, sia direttamente al segnale misurato, se si rivela necessario.

Una ipotesi che non pone pesanti restrizioni sul tipo di movimento è la seguente:

Ipotesi 1.1. Se l’accelerazione è nulla allora il corpo è fermo.

Nella pratica infatti il moto uniforme è raro, e un corpo in movimento è soggetto quantomeno a vibrazioni di entità rilevabile. Sotto questa ipotesi possono essere considerate molte tipologie interessanti di movimento, ad esempio quelli di un braccio robotico, di un carrello, di un mouse e così via.

L’ipotesi (1.1) si concretizza suddividendo il calcolo della velocità su una serie di intervalli, ciascuno dei quali comprende un intervallo di tempo in cui il sensore è sicuramente fermo oppure si sta sicuramente muovendo:

       ∫ t            ∫ t1           ∫  t2                 ∫  tn
v(t) =    f(a(t))dt =     f(a(t))dt +     f(a(t))dt + ...+       f(a(t))dt
        0              0               t1                    tn−1
(1.12)

dove:

       {
          0   se x < Tol.(±1 digit )
f(x) =    x   altrimenti.
(1.13)

Per la determinazione degli intervalli di integrazione si usa un semplice algoritmo:

1.
[0,t1]: t1 è il primo campione da sinistra per cui a(t1) supera la tolleranza. Nell’intervallo [0,t1] il corpo è fermo, nel prossimo intervallo [t1,t2] il corpo sarà in movimento; rimane da determinare t2;
2.
[tn1,tn]: tn1 è l’ultimo campione selezionato, tn può essere scelto tra tre alternative:
(a)
il 50esimo campione per cui l’accelerazione è sotto la soglia (è finito il moto corrente);
(b)
il primo campione per cui l’accelerazione supera la tolleranza (è iniziato un nuovo moto);
(c)
l’ultimo campione dell’intervallo di tempo considerato;

Se il corpo si sta muovendo si cerca la condizione 2a) oppure (2c), altrimenti se il corpo è fermo si vuole trovare l’inizio del nuovo moto (se ne è iniziato un’altro), ovvero la condizione (2b) oppure (2c).

3.
se ci sono ancora campioni da analizzare torna al passo 2 tenendo conto dello stato corrente di quiete o di moto, altrimenti termina.

In questa forma, per chiarezza di esposizione, l’algoritmo ha come precondizione che il sensore sia fermo e non accelerato all’istante zero; non è problematico modificare il punto 1 affinché riconosca la situazione iniziale di quiete o di moto e si comporti di conseguenza.
Un risultato dell’applicazione di questo metodo è mostrato in figura 1.7, insieme a un confronto diretto con il metodo delle tolleranze in figura 1.8. Questo metodo non è in grado di risolvere il problema dell’accumulazione degli errori sulla seconda integrazione, ma l’ipotesi sul tipo di moto permette di riconoscere quando il corpo si ferma con una semplice analisi diretta del segnale dell’accelerazione e quindi di azzerare la deriva del primo integrale ogni volta che il movimento lo permette.
Ne consegue che limitatamente ai tipi di moto conformi all’ipotesi (1.1), questo metodo fornisce risultati migliori rispetto ai due metodi presentati precedentemente. In particolare con i primi due metodi accade facilmente che, anche considerando un movimento molto semplice come quello in figura 1.3, il valore calcolato della velocità alla fine del moto ecceda la tolleranza e quindi si inizi a considerare il corpo in moto a velocità costante anche se in realtà è fermo; questo implica che da quel momento in poi la posizione calcolata sarà completamente sbagliata, sia come valore che come andamento. Con questo metodo invece quanto appena descritto non può accadere; la posizione calcolata è sicuramente inaccurata quanto quelle calcolate con i metodi precedenti a causa delle derive stocastiche, ma ha il pregio di rispecchiare sicuramente l’andamento del moto.

Ipotesi più restrittive

Nelle situazioni in cui il moto ha caratteristiche precise e conosciute, i risultati che si riescono ad ottenere sono buoni.
Ad esempio, se si considera un moto rettilineo di andata e ritorno (simile a quello usato negli esempi precedenti), si hanno elementi sufficienti per apportare correzioni alle derive degli integrali. In particolare si sa che ci sono due movimenti, ed al termine del secondo il sensore è tornato alla posizione iniziale. L’integrazione diretta sui dati non fornisce risultati utili (figura 1.9, ma l’imposizione sulla seconda integrazione degli zeri migliora la situazione in modo molto evidente (figura 1.10). Nell’esempio la correzione è imposta sommando all’integrale risultante una funzione pari e una dispari pesate in modo opportuno; questo metodo è spiegato nei dettagli nel capitolo 2.


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Figura 1.9: Accelerazione (verde), velocità (rosso) e spazio (blu), risultanti da un’integrazione delle accelerazioni di un movimento assiale di andata e ritorno, senza vincoli sulla posizione: la deriva sulla seconda integrazione è molto evidente.



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Figura 1.10: Velocità (rosso) e spazio (blu), risultanti da un’integrazione di un movimento assiale di andata e ritorno, con vincoli sulla posizione finale nello spazio.


1.2 Il filtro di Kalman

Il problema della determinazione del movimento a partire da informazioni parziali e incomplete o da misure indirette è ben noto e ammette molte soluzioni.
Uno degli approcci al problema più in voga in letteratura fa uso di un particolare tipo di filtro originariamente concepito da Rudolph E. Kalman [8]. Per capire l’idea che sta alla base del filtro, si considera un caso particolarmente semplice che permette di comprendere vantaggi e limiti che possono venire da informazioni legate alle equazioni del moto di un sistema.
Si consideri una nave alla deriva di cui si vuole stimare la posizione; la nave si sta muovendo in modo non esattamente rettilineo uniforme a causa delle onde del mare, e la posizione della nave può essere calcolata soltanto mediante misure astronomiche. Il problema è come si possano integrare le informazioni di posizione che si ottengono dal sestante con la conoscenza che la nave si muove, entro certe deviazioni stocastiche, secondo un moto conosciuto. Si assuma che la nave si stia muovendo secondo la legge:

y    = y  + c + w
  t+1    t        t
(1.14)

dove c è lo spazio che la nave percorre in un secondo, considerando la velocità media della nave costante, e wt il rumore relativo dovuto alle onde del mare agitato (per esempio c = 5m mentre il rumore è bianco con varianza σw).
La misura diretta della posizione all’istante t viene chiamata xt ed è affetta da un rumore bianco vt:

xt = yt + vt
(1.15)

dove vt ha varianza σv. Se non ci sono altre informazioni ci si aspetta quindi che la posizione all’istante t + 1 sia data da:

ˆyt+1 = ˆyt + c
(1.16)

La grandezza ŷt ha varianza σt indipendente da c per cui la varianza complessiva è la somma pitagorica delle due varianze:

σ2t+1 = σ2t + σ2w
(1.17)

Se non vengono effettuate ulteriori misure, l’incertezza sulla posizione continua ad aumentare e la deriva della nave porta ad errori crescenti. Se invece si ha a disposizione un’ulteriore misura astronomica al tempo t + 1 le due misure si possono combinare in modo indipendente.
La misura di ŷt+1 ha quindi due risposte:

Il risultato è quindi:

            2              2
ˆy′t+1 = ----σv----ˆyt+1 + ---σt+1---xt+1
       σ2t+1 + σ2v       σ2t+1 + σ2v
(1.18)

che ha una varianza:

          2 2
σ′2 =  -σ-vσt+1--
 t+1   σ2t+1 + σ2v
(1.19)

la quale è comunque più piccola della minore delle due varianze.
La presenza di un errore infinito su una delle due misure rende inutile la procedura (e questo è il caso in cui una delle due misure non viene effettuata); il crescere della confidenza nei confronti di una delle due misure (σ 0) tende invece a escludere l’altra dal calcolo.
Queste equazioni possono anche essere espresse in una forma più compatta e adatta al calcolo. Si definisce:

           2
K    = ---σt+1---
 t+1   σ2t+1 + σ2v
(1.20)

Successivamente, dalla (1.17) e dalla (1.19) si deriva:

σ ′2  = (1 − Kt+1 )σ2
  t+1               t+1
(1.21)

e infine:

ˆy′t+1 = ˆyt+1 + Kt+1(xt+1 − ˆyt+1)
(1.22)

Nel listato 1.1 si riporta una semplice implementazione di quanto appena esposto, utilizzata per generare le figure 1.11, 1.12 e 1.13 che mostrano la posizione della nave prevista dal filtro al variare della confidenza nei confronti della misura astronomica o della vicinanza del movimento della nave al moto rettilineo uniforme.


Listing 1.1: Esempio della nave
1time = 100 
2dt = 0.1 
3c = 0.1 #=vdt 
4s_initial = 0 
5 
6Sigma_wt = 0.002 #noise on the process 
7Sigma_vt = 0.5  #noise on the measurements 
8 
9 
10#This will be the real position 
11realPosition = [s_initial] 
12for i in range(time1): 
13        realPosition.append(realPosition[i]+c+ 
14                                random.gauss(0,Sigma_wt)) 
15 
16#noisy measurements 
17xt = [] 
18for i in realPosition: 
19        xt.append(i+random.gauss(0,Sigma_vt)) 
20 
21yt = [0]#first estimation 
22Sigma_t = [0.5] #uncertainity of the estimation process 
23swt2 = Sigma_wtSigma_wt 
24svt2 = Sigma_vtSigma_vt 
25K = [(Sigma_t[0])/(Sigma_t[0]+svt2)] 
26yprime = [] 
27SigmaPrime = [(1K[0])(Sigma_t[0])] 
28 
29for i in range(time1): 
30        #prediction 
31        yt.append(yt[i]+c)#+random.gauss(0,Sigma_t[0])) 
32        Sigma_t.append((Sigma_t[i]+swt2)) 
33 
34        #output and correction 
35        yprime.append(yt[i]+K[i](xt[i]yt[i])) 
36        SigmaPrime.append((1K[i])(Sigma_t[i+1])) 
37        K.append((Sigma_t[i+1])/(Sigma_t[i+1]+svt2))


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Figura 1.11: Esempio della nave: Stessa varianza (0.5) per le misure e la previsione. (Posizione reale (nero), Posizione aspettata (blu +), Misure (verde +), output del filtro (rosso). La stessa notazione è usata anche in figura 1.12 e 1.13)



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Figura 1.12: Esempio della nave: Varianza più grande per le misure (0.8) che per la previsione (0.2). (Il mare è calmo e le misure astronomiche poco precise.)



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Figura 1.13: Varianza più grande per la previsione (0.8) che per le misure (0.2). (Il mare è molto agitato ma le misure sono relativamente precise.)


Formalizzando

Un filtro di Kalman è costituito da un insieme di equazioni che implementano un estimatore di tipo predictor-corrector; la stima che si ottiene è ottimale nel senso che minimizza la covarianza dell’errore, quando certe condizioni al contorno sono verificate. Questa formalizzazione, proposta in [1], è una generalizzazione del filtro per sistemi il cui stato è rappresentato da un numero arbitrario di caratteristiche.
L’idea alla base è quella di generare una approssimazione dello stato di un processo. Il processo è rappresentato dal vettore di stato x n, avviene su una base dei tempi discreta ed è governato da un’equazione differenziale stocastica del tipo:

xk =  Axk− 1 + Buk + wk −1
(1.23)

Lo stato xk è correlato ai dati misurati z m:

zk = Hxk  + vk
(1.24)

dove la matrice H Mm×n rappresenta la relazione tra lo stato reale del processo e la misura zk. Le variabili stocastiche wk e vk rappresentano il rumore rispettivamente sul processo e sulla misura. Si assuma che questi rumori siano indipendenti, bianchi e con una distribuzione gaussiana:

p(w ) ≈ N (0,Q ) e p(v) ≈ N (0,R)
(1.25)

Si definisce con ˆxk n la stima a priori al passo k ottenuta in base alla conoscenza che si ha del comportamento del processo nei passi avvenuti prima di k, e con xˆk n la stima a posteriori data la misura zk; le stime a priori e a posteriori dell’errore possono esser espresse come:

e− = xk − ˆx− ed ek = xk − xˆk
 k         k
(1.26)

Questi errori hanno una covarianza:

 −       −  −T            −  T
Pk =  E [ek ek ] e Pk = E [ek ek]
(1.27)

Rimane da trovare un’equazione per calcolare la stima a posteriori xˆk come combinazione lineare della stima a priori ˆxk e una differenza pesata tra la misura attuale z k e la predizione sulla misura Hˆxk. Questa equazione è del tipo:

ˆxk = xˆ−k + K (zk − H ˆx−k )
(1.28)

La matrice K Mn×m è scelta1 tale da minimizzare la covarianza a posteriori (seconda equazione in (1.27)):

                                      −  T
Kk  = P −HT  (HP − HT +  R)− 1 = ---Pk-H------
        k        k               HP −k HT  + R
(1.29)

Da questa forma di K si nota che al diminuire della covarianza sulla misura R (eq. (1.25)), l’importanza del termine (zk Hˆxk) (generalmente chiamato residuo) in (1.28) aumenta; nello specifico:

lim  Kk = H − 1
Rk→0
(1.30)

Nello stesso tempo al diminuire della covarianza dell’errore stimato a priori Pk il residuo perde di importanza, ovvero:

 lim  Kk =  0.
P−k →0
(1.31)

Si ha quindi che al diminuire della covarianza sulla misura questa tende ad acquistare fiducia (ovvero il risultato del filtro si avvicina di più a zk) facendo perdere fiducia nei confronti della misura predetta Hˆxk; al contrario al diminuire della varianza dell’errore stimato a priori il filtro tende a privilegiare i valori predetti rispetto a quelli misurati.

Applicazione al caso discreto Il filtro di Kalman approssima un processo agendo come un sistema reazionato: esso computa una predizione sullo stato del processo in un certo istante di tempo e ottiene un feedback sotto forma di misure rumorose. L’insieme di equazioni che compongono il filtro può quindi essere diviso in due sottoinsiemi: uno contiene le equazioni che eseguono una predizione sullo stato futuro del processo e della covarianza dell’errore, l’altro contiene le equazioni che si occupano di inglobare il risultato della misura nelle stime a priori al fine di ottenere delle predizioni future più accurate.
La predizione viene effettuata secondo le equazioni:

 −
ˆxk =  Aˆxk− 1 + Buk
(1.32)

per quanto riguarda la misura all’istante k, e:

P − = AP     AT + Q
  k      k− 1
(1.33)

per stimare la covarianza dell’errore. A seguito della misura zk si calcolano gli aggiornamenti:

        −  T     −   T     −1
Kk  = P k H  (HP  k H  +  R)  ,
(1.34)

ˆxk = ˆx− + Kk (zk − H ˆx− )
      k               k
(1.35)

e infine

                  −
Pk =  (I − KkH )P k .
(1.36)

Il processo di filtraggio avviene quindi in due fasi:

1.
si calcola la stima per lo stato del processo al tempo k a partire dai valori noti ˆxk1,Pk1 attraverso le equazioni (1.32) e (1.33) (fase di aggiornamento temporale o time update);
2.
si corregge la stima in base alla misura rumorosa riscontrata attraverso le equazioni (1.34),(1.35) e (1.36) (fase di aggiornamento della misura, o measurement update).

Comportamento del filtro di Kalman semplice nel caso della doppia integrazione Si prenda in considerazione un corpo che subisce un’accelerazione su un asse secondo la legge:

a(t) = cos(t) con t ∈ [0,2π ]
(1.37)

La velocità del corpo si ottiene in maniera esatta:

       ∫
         t                 t
v(t) =    cos(t)dt = sin (t)|0 = sin(t)
        0
(1.38)

come anche lo spazio:

       ∫ t         ∫ t
s(t) =    v(t)dt =    sin(t)dt = cos(t)|t=  1 − cos (t)
        0           0                  0
(1.39)

Si può simulare una misura reale campionando la funzione a(t) a intervalli regolari; per questo scopo si definisce il periodo di campionameno dt al valore arbitrario dt = 0.01, ovvero si considera la funzione campionata in 2π∕dt= 628 punti.
Si definisce la funzione apert(t) la funzione a(t) soggetta a perturbazioni:

apert(t) = a(t) + random   , t ∈ [0,0.01,⌊2π ∕dt⌋]
(1.40)

dove il numero casuale è stato scelto secondo una distribuzione gaussiana (per far fede all’ipotesi di base dei filtri di Kalman).
Per avere un’idea sull’andamento delle derive, si definiscono le integrazioni semplici come:

           6∑28
vpert(t) =     a(idt)
           i=0
(1.41)

e

           628
           ∑
spert(t) =    vpert (idt)
           i=0
(1.42)

Il risultato di queste integrazione è confrontabile in figura 1.14; la deriva della seconda integrazione non è trascurabile rispetto al valore dell’integrale.


PIC

Figura 1.14: Confronto tra le funzioni a(t) (nero), v(t) (giallo), s(t) (magenta), apert(t) (rosso), vpert(t) (verde), spert(t) (blu); si nota chiaramente la deriva degli integrali del segnale perturbato.


L’applicazione di un semplice smoothing a finestra scorrevole non sortisce effetti sul risultato delle derive, ma rende l’andamento della funzione più comprensibile all’occhio umano. La mediazione di un gruppo di valori infatti non fa altro che una somma parziale, ovvero svolge una parte del lavoro che sarebbe stato svolto dal processo di integrazione. Ad esempio, applicando lo smoothing descritto nel listato 1.2 (dove si definiscono le funzioni asmooth(t),vsmooth(t),ssmooth(t) come accelerazione perturbata sottoposta allo smoothing, prima e seconda integrazione della funzione asmooth(t)) sulla seconda integrazione si ottiene praticamente la stessa deriva che si sarebbe ottenuto integrando il segnale originale sporco, come è ben evidente in figura 1.15.


Listing 1.2: Integrazione su smoothing a finestra scorrevole
1smoothingWidth = 15 
2leftWindow = 0 
3rightWindow = smoothingWidth 
4middle = smoothingWidth/2 
5limit = len(taxis) 
6asmooth = [] 
7for i in xrange(limit): 
8        asmooth.append(numpy.mean( 
9                        apert[ileftWindow:i+rightWindow])) 
10 
11        if leftWindow < middle: 
12                leftWindow+=1 
13                rightWindow=1 
14        if i >= limitrightWindow: 
15                rightWindow=1 
16                leftWindow+=1 
17 
18vsmooth = numpy.cumsum(asmooth)dt 
19ssmooth = numpy.cumsum(vsmooth)dt


PIC

Figura 1.15: Confronto tra le funzioni a(t) (nero), v(t) (giallo), s(t) (magenta), asmooth(t) (rosso), vsmooth(t) (verde), ssmoot(t) (blu) e spert(t) (dashed blu); con lo smoothing si ottiene circa la stessa deriva che si ha sul segnale originale.


Si supponga di avere a disposizione un modello che sia in grado di prevedere, entro un certo margine di errore, l’andamento dell’accelerazione nel tempo. Si può allora costruire un filtro di Kalman che operi sull’accelerazione a partire dalla previsione e dai dati misurati considerando:

Queste equazioni sono implementate nel listato 1.3, e il risultato ottenuto è mostrato in figura 1.16; il segnale filtrato dopo l’integrazione presenta una deriva visibilmente minore rispetto a quella dell’integrazione del segnale originario. Bisogna però tenere di conto che il filtro si avvale di informazioni più raffinate che un metodo per lo smoothing non usa, e che queste informazioni nella pratica delle misure accelerometriche spesso non sono disponibili.


Listing 1.3: Integrazione sui dati processati dal filtro di Kalman
1Sigma_wt = 0.005 #noise on the process 
2Sigma_vt = 0.4  #noise on the measurements 
3 
4yt = []#first estimation 
5Sigma_t = [0.05] #uncertainity of the estimation process 
6swt2 = Sigma_wtSigma_wt 
7svt2 = Sigma_vtSigma_vt 
8K = [(Sigma_t[0])/(Sigma_t[0]+svt2)] 
9yprime = [0] 
10SigmaPrime = [(1K[0])(Sigma_t[0])] 
11 
12for i in range(len(taxis)1): 
13        yt.append(numpy.cos(taxis[i])) 
14        Sigma_t.append((Sigma_t[i]+swt2)) 
15 
16        yprime.append(yt[i]+K[i](apert[i]yt[i])) 
17        SigmaPrime.append((1K[i])(Sigma_t[i+1])) 
18        K.append((Sigma_t[i+1])/(Sigma_t[i+1]+svt2)) 
19 
20aKalman = yprime 
21vKalman = numpy.cumsum(aKalman)dt 
22sKalman = numpy.cumsum(vKalman)dt


PIC

Figura 1.16: Confronto tra le funzioni a(t) (nero), v(t) (giallo), s(t) (magenta), aKalman(t) (rosso), vKalman(t) (verde), sKalman(t) (blu), vpert(t) (dashed verde), spert(t) (dashed blue); il filtro di Kalman ha migliorato la deriva della seconda integrazione.


Filtro di Kalman bidimensionale In [16] viene presentato un modello del filtro di Kalman che ingloba la doppia integrazione direttamente all’interno del filtro. Si prendano in considerazione le equazioni di stato (1.23) e di uscita (1.24) del filtro di Kalman, cambiando leggermente la notazione per comodità:

x    =  Ax  + Bu   + w
  k+1      k     k     k
(1.43)

yk = Hxk  + zk
(1.44)

ovvero si indica con x lo stato del processo, u l’input (accelerazione), y l’output (posizione), w,z i rumori rispettivamente sul processo e sulla misura.
Ponendosi nel caso discreto, ovvero nell’ipotesi che i parametri del moto (accelerazione e posizione) siano aggiornati ogni t secondi, il moto del corpo è descritto dalle equazioni:

vk+1 = vk + tuk + v−k
(1.45)

per quanto riguarda la velocità, dove vk rappresenta il rumore sul processo 2, e:

p    = p  + tv +  1t2u  + p−
 k+1    k     k   2   k    k
(1.46)

rappresenta la posizione; come prima pk è il rumore sulla posizione.
Si può quindi definire il vettore di stato x in questo modo:

    [    ]
      pk
x =   vk
(1.47)

le matrici:

    [       ]           [  2    ]            [      ]
A =    1  t  ,      B =    t∕2   ,      H =   1   0
       0  1                 t
(1.48)

il rumore sul processo wk ha una componente per lo spazio e una per la velocità:

     [     ]
        p−k
wk =    v−
         k
(1.49)

La (1.43) diventa:

       [       ]   [      ]      [  2   ]           [            t2-      − ]
xk+1 =    pk+1   =   1  t   xk +   t ∕2  uk + wk  =   pk + tvk + 2 uk +− p k
          vk+1       0  1           t                    vk + tuk + vk
(1.50)

e la (1.44):

     [      ]
yk =   1  0  xk + zk = pk + zk.
(1.51)

Rimangono da definire le covarianze dei rumori di processo e di misura:

                    ( [ (p−)2  p− v− ])
Sw  = E (wkwTk) = E      −k −   k− k2
                        pk vk  (vk )
(1.52)

           T     2
Sz = E (zkzk ) = zk
(1.53)

Le equazioni del filtro si possono esprimere nella forma:

Kk =  APkHT  (HPK  HT  + Sz)−1
(1.54)

ˆxk+1 = (A ˆxk + Buk ) + Kk (yk+1 − H ˆxk)
(1.55)

             T              T  −1      T
Pk+1 = APkA    + Sw −  AP H  S z HPkA
(1.56)


PIC

Figura 1.17: Applicazione del filtro di Kalman: posizione reale (nero), posizione calcolata dal filtro (blu), misure di posizione (crocette blu), velocità reale (rosso), velocità calcolata dal filtro (verde). Nonostante la misura di posizione sia poco accurata il risultato del filtro si discosta poco dalla posizione vera del veicolo.


La matrice Pk, che rappresenta la covarianza stimata dell’errore di processo, viene inizializzata utilizzando le uniche informazioni note, ovvero P0 = Sw; anche ˆx0 viene inizializzato allo stato iniziale del processo.
Si consideri il caso di un’automobile che si muove con accelerazione costante: si effettuano misure di posizione periodiche affette da un errore grande e si considera che l’accelerazione reale che il veicolo subisce non è esattamente costante ma è affetta da fluttuazioni dovute a condizioni fisiche quali vento o asperità dell’asfalto. Il risultato dell’applicazione del filtro bidimensionale a questo semplice esempio è mostrato in figura 1.17; nonostante le misure spaziali siano molto imprecise il risultato del filtro è molto vicino alla posizione reale dell’automobile.


PIC

Figura 1.18: Risultati ottenuti da Liu e Pang: Il sensore accelerometrico compie un movimento monoassiale di andata e ritorno imposto da un braccio meccanico, le accelerazioni (grafico in alto) sono pulite e uniformi, ed anche la prima integrazione mostra buoni risultati (grafico in basso).



PIC

Figura 1.19: Risultato finale ottenuto da Liu e Pang: si nota chiaramente la deriva sulla seconda integrazione.



PIC

Figura 1.20: Risultati ottenuti in [14] sottoponendo l’accelerometro ad un movimento di andata e ritorno monoassiale imposto manualmente; sono a confronto l’integrazione eseguita da un filtro di Kalman (grafico in alto a destra) e quelle ancora eseguite da un filtro di Kalman ma considerando il tasso massimo di cambiamento dell’accelerazione nel caso di spostamenti assiali (grafico in basso).


1.2.1 Lavori analoghi

In [5] e in [13] viene studiato il comportamento di un accelerometro sottoposto a movimenti precisi eseguiti da un braccio meccanico. Per la riduzione del rumore viene usato un filtro di Kalman, modellato per svolgere esso stesso il processo di integrazione in cascata. L’accelerometro è stato sottoposto a tre cicli di spostamento assiale, ogni volta con la stessa accelerazione; questa prova è stata fatta con tre accelerazioni differenti. I problemi riscontrati sono la scelta del bias e l’accumulazione degli errori nel processo di integrazione. In particolare l’accuratezza della misura del bias si è rivelata particolarmente importante per le misure con l’accelerazione più bassa, dove anche le fluttuazioni naturali dovute alla temperature ed altri fattori ambientali; per ognuno dei tre cicli è stato ricalcolato un bias diverso. Nelle prove con accelerazione maggiore il problema del bias è meno rilevante, e sono state raggiunte precisioni sulla misura spaziale nell’ordine del centimetro. In particolare Liu e Pang hanno sottoposto l’accelerometro a spostamenti assiali eseguiti da un braccio meccanico; ogni spostamento ha velocità e accelerazione massime ben note, ed è un movimento del tipo andata e ritorno al punto di partenza. Nelle figure 1.18 e 1.19 viene mostrato il risultato che hanno ottenuto utilizzando un filtro di Kalman ma nell’articolo non viene spiegato nei dettagli come questo viene modellato; i risultati che hanno ottenuto non sono molto distanti da quelli ottenuti con i metodi descritti in sezione 1.1.2. Il filtro che viene utilizzato in questo articolo non viene descritto nei dettagli, quindi non è stato possibile implementarlo per fare un confronto diretto con altri metodi più semplici ma che in questo contesto sembrano altrettanto efficaci.
In [14] vengono studiati e realizzati dei controllori accelerometrici destinati all’interazione con i wearable computers. In particolare sono stati realizzati una penna utile per il puntamento, un tilt pad che rileva i movimenti di un piano utilizzabile in contesti di mixed reality come ad esempio la cartografia 3D, e un gesture pad da portare al polso utilizzabile, ad esempio, per la selezione di comandi tramite gesti. Per la riduzione del rumore e l’integrazione viene usato un filtro di Kalman ma i problemi dovuti allo spostamento naturale del bias dell’accelerometro non sono trascurabili. Si tenta di mitigare questo problema considerando il tasso massimo di cambiamento dell’accelerazione (che per motivi fisici è limitato) inglobandolo nel modello del filtro; in particolare vengono considerati due limiti diversi rispettivamente per lo stato di quiete del sensore e per lo stato di moto (nel primo caso il rate massimo è molto minore). In questo caso il metodo è stato provato su un movimento di andata e ritorno monoassiale imposto all’accelerometro manualmente e non da un braccio meccanico. Le accelerazioni (grafico in altro a sinistra in figura 1.20) non sono così precise e uniformi come quelle che hanno avuto a disposizione Liu e Pang. I risultati dell’applicazione di questo metodo sono mostrati in figura 1.20; il risultato finale è una precisione intorno ai 10cm iniziale migliorata a 2.5cm, inglobando come invariante l’inclinazione massima della curva dell’accelerazione nel filtro.

1.3 Ricostruzione di un moto bidimensionale: doppia integrazione nel caso di processi bidimensionali

La caratteristica fondamentale dei moti bidimensionali di un corpo rigido, rispetto a quelli monodimensionali, è di avere due gradi di libertà in più: uno è ovviamente la dimensione spaziale aggiuntiva, l’altra è la possibilità di ruotare il sistema di riferimento. Lavorare su assi che non subiscono rotazioni non è un problema: nella maggior parte dei casi si possono considerare singolarmente gli assi come se fossero due moti unidimensionali separati; in molti contesti si possono usare i dati di un asse per porre vincoli sull’altro e viceversa.
Il caso in cui gli assi dell’accelerometro ruotino rispetto al sistema di riferimento è invece più complicato da trattare. Intuitivamente, nel caso di movimenti generici non esiste un modo per ricavare l’angolo di rotazione dalle misure lungo due assi: una semplice rotazione del sensore sul suo asse non è rilevabile, e anche nel caso fortuito in cui il sensore sia in una posizione che permette di misurare la forza di gravità terrestre (in questo caso una rotazione produce una modifica della misura contemporaneamente sui due assi) non c’è modo per distinguere la variazione di accelerazione dovuta alla rotazione da quella dovuta al movimento assiale del sensore.

1.3.1 Moto rotatorio in un piano perpendicolare al terreno

Il problema della rotazione del sensore è aggirabile nel caso di movimenti semplici, dei quali si conosca il tipo di rotazione a cui è soggetto l’accelerometro e si sia in grado di identificare facilmente l’inizio e la fine del movimento. Un esempio concreto è la misura di movimenti che si svolgono lungo archi di circonferenza, come il movimento di un braccio meccanico o la flessione di un arto quali spalla e ginocchio; in questo caso particolare i dati che forniscono informazione utile sono l’accelerazione tangenziale e radiale.


Listing 1.4: Integrazione numerica per l’equazione (1.67)
1te= [0] 
2v= [0] 
3for i in range(1,nn1): 
4        v.append(v[i1]+at[i1]dtgsin(te[i1])dt) 
5        te.append(te[i1]+(v[i]+v[i1])/2dt) 
6        v[i]=v[i1]+(at[i1]gsin(te[i1]))dt/2+ 
7                                (at[i]gsin(te[i]))dt/2

Il moto a cui è sottoposto il sensore si può descrivere agevolmente in termini relazioni angolari ed è ben approssimato dalla relazione:

θ(t) = θ sin4(ωt )
       0
(1.57)

dove la pulsazione si ricava dal tempo di esecuzione del movimento secondo la relazione ω = 2π∕T. La velocità e l’accelerazione angolari sono esprimibili come:

vang = d-θ
        dt
(1.58)

                2
aang = dvang-= d-θ-
        dt     dt2
(1.59)

z Le accelerazioni tangenziale (at) e radiale (ar), ovvero le grandezze che si possono di misurare direttamente, sono in relazione diretta con l’angolo θ e il raggio della circonferenza ρ:

     d2θ
at = dt2-= ρaang
(1.60)

       ( dθ)2
ar = ρ   ---
         dt
(1.61)

Se il piano in cui si effettuano le misure è perpendicolare alla superficie terrestre, su ognuno dei due assi si riscontra una componente dell’accelerazione gravitazionale che dipende direttamente dall’angolo θ:

      2
a =  d-θ-+ gsin θ
 t   dt2
(1.62)

       (   )
        d-θ  2
ar = ρ   dt   + g cosθ
(1.63)

si può quindi distinguere la componente gravitazionale dal dato utile per la misura.
Per risalire alla velocità tangenziale si può, formalmente, sfruttare l’equazione della derivata di ar:

                        2
dar-= − g sin θdθ-+ 2 dθd-θ-
dt            dt     t dt2
(1.64)

Ricavando  2
d-θ-
dt2 dalla misura di at:

dar-=  − 3g sin θd-θ+ 2dθ-at
 dt             dt     t
(1.65)

si ottiene infine:

           dar-
dθ-=  ------dt-------
dt    − 3gsinθ + 2at
(1.66)

Questa equazione non è adatta al calcolo, in quanto il termine al denominatore passa da zero e la sua integrazione porta a delle instabilità numeriche non banali; si può però procedere a un’integrazione numerica diretta dell’equazione del secondo ordine:

d2θ        g
--2-= at − --sin θ
dt         ρ
(1.67)

con il metodo descritto nel listato 1.4, basato sul metodo di Eulero.

Capitolo 2
Ricostruzione di una camminata

2.1 Studio del movimento

Il gait cycle1 , può, a fini di studio, essere considerato suddiviso in tre periodi principali:

Con stance si indica il periodo di tempo in cui il piede è in contatto con il terreno, fase che dura più del 60% del tempo totale; lo swing è il periodo in cui il piede è sollevato da terra e questa fase dura circa il 30% del tempo. Infine la fase di double support si ha quando entrambi i piedi sono in contatto con il terreno, cosa che accade due volte per ogni gait cycle; questa fase dura circa il restante 10% del tempo ma la sua durata diminuisce con il velocizzarsi dell’andatura: durante la corsa i piedi non sono mai entrambi in contatto con il terreno contemporaneamente.
In generale, si riescono ad individuare varie fasi della camminata ben distinte nel tempo:

1.
Contatto iniziale (Initial Contact);
2.
Risposta al carico (Loading Response);
3.
Fermo medio (MidSTance);
4.
Fermo finale (Terminal STance);
5.
Preoscillazione (PreSWing);
6.
Oscillazione iniziale (Initial SWing);
7.
Oscillazione media (MidSWing);
8.
Oscillazione finale (Terminal SWing).

Le fasi 1,2,3,4,5 compongono il periodo di stance, mentre il periodo di swing è essenzialmente composto dalle fasi 6,7,8. La fase 5 è quella in cui la gamba viene preparata dal busto all’oscillazione.
Il contatto iniziale (1) è un evento istantaneo nel tempo e si verifica quando il piede della gamba guida tocca il terreno. Dal punto di vista del piede questo è un evento relativamente violento; è quindi ragionevole supporre che possa essere facile rilevarlo a partire dalle misure accelerometriche effettuate all’altezza della caviglia.
Durante la fase di risposta al carico (2) il piede viene gradualmente messo in contatto con il terreno ed il peso del corpo viene spostato su di esso quando il contatto diventa completo; è in questo momento che comincia il passo vero e proprio inteso come movimento del corpo.
Le altre fasi consistono tutte di movimenti dolci e quindi sicuramente non semplici da individuare in maniera precisa con gli strumenti che si hanno a disposizione. L’attenzione dovrà quindi essere concentrata sull’individuazione del punto di contatto del piede con il terreno e sull’inizio della fase di risposta al carico la quale, dai punti di vista spaziale e temporale, costituisce la vera fine del passo (e inizio del passo successivo) ovvero è la fase più significativa al fine della misurazione.

2.2 Ricostruzione del movimento

2.2.1 Isolamento dei passi


PIC

Figura 2.1: Esempio di acquisizione: in rosso le accelerazioni lungo l’asse caviglia-ginocchio, in verde le accelerazioni in direzione del moto (perpendicolare all’altra). Si distinguono molto chiaramente i sei passi.


I segnali accelerometrici che si ottengono dall’acquisizione di una camminata sono piuttosto chiari, un esempio è mostrato in figura 2.1. Il momento del contatto del tallone col terreno è ben evidente dal tracciato delle accelerazioni lungo la direzione del moto, ci sono dei picchi marcati e di breve durata. Questi picchi non sono così tanto marcati in caso di camminate particolarmente leggere, ma comunque si è in grado di distinguere il momento dell’appoggio del tallone. Questa fase della camminata è importante perché permette di fissare dei vincoli sul calcolo degli spostamenti: quando il piede è a terra la sua velocità è nulla e la posizione sull’asse caviglia-ginocchio2 è quella iniziale. In figura 2.2 si vede un esempio di individuazione dei punti di appoggio e quindi dei vari passi (intervalli tra un appoggio e l’altro); numericamente questo viene implementato con una ricerca sui picchi maggiori di una certa soglia, che a sua volta viene definita in base al valore massimo che si rileva su questo asse. I punti individuati in questo modo non corrispondono ancora esattamente al momento in cui il piede è completamente appoggiato a terra e fermo ma corrispondono al momento in cui il tallone tocca terra. Il piede quindi deve ancora terminare la sua rotazione ma dal segnale non si riesce ad individuare facilmente il momento in cui questo succede. Nella pratica questo richiede un tempo breve e quasi costante (anche se cambia in funzione della velocità a cui si sta camminando, ovvero della frequenza dei passi): considerando il movimento di durata costante e scegliendo un valore ragionevole per la durata si ottengono comunque buoni risultati.


PIC

Figura 2.2: Determinazione dei punti di appoggio (quadrati neri); nei punti segnati solo il tallone ha appena toccato terra e il piede deve ancora ruotare per appoggiarsi completamente.


2.2.2 Calcolo delle posizioni

La possibilità di determinare il momento di appoggio del piede permette di sfruttare le informazioni che sono note circa quell’istante:

Più formalmente, indicando con tin e tfn il momento di inizio e di fine del passo nesimo, il vincolo sulle velocità può essere espresso come:

∫  tfn          ∫ tfn          ∫ tfn
      a (t)dt =      a (t)dt =      a (t)dt = 0
  tin   x        tin  y         tin   z
(2.1)

e quello sugli spazi:

∫ tfn              ∫ tfn
     v (t)dt = 0 ≈      v (t)dt
 tin   x             tin   z
(2.2)

La posizione laterale del piede (asse z) è soggetta ad oscillazioni da un passo all’altro, ma mediamente rimane intorno alla posizione iniziale; si ritiene sensato quindi considerare comunque nulla l’oscillazione.

In generale, a causa degli errori di misura e delle successive derive delle integrazioni, indipendentemente dall’asse che si stia considerando si ha una situazione del tipo:

∫
  tfn
     apert(t)dt = Δv  ⁄= 0
 tin
(2.3)

e quindi anche:

∫ tfn            ∫ tfn ∫ t1fn
     vcalc(t)dt =            apert(t)dt1dt = Δs  ⁄= 0.
 tin              tin   t1in
(2.4)

Il vincolo sull’integrazione può essere imposto modificando la funzione da integrare; in particolare si cerca una funzione φ(t) tale che:

∫
  tfn
     apert(t) + φ (t)dt = 0
 tin
(2.5)

e

∫ tfn            ∫  tfn∫  t1fn
     vcalc(t)dt =            apert(t) + φ(t)dt1dt = 0.
 tin               tin   t1in
(2.6)

Un modo per scegliere la funzione φ(t) è quello di considerarla come somma pesata di due funzioni:

φ(t) = αφeven(t) + β φodd(t)
(2.7)

di cui una è pari e definita positiva e l’altra è dispari a media nulla.
Una delle coppie di funzioni che assolvono questo scopo, semplice da trattare nell’intervallo [tin,tfn] è:

           (         )                  (          )
             ---πt----                    ---2πt---
φeven = sin   tfn − tin   ,     φodd = sin   tfn − tin
(2.8)

Il coefficiente α può essere ricavato direttamente dall’equazione:

∫ tfn
     a   (t) + αφ    (t) + β φ  (t)dt = Δv
 tin   pert        even        odd
(2.9)

in quanto l’integrale della funzione dispari nell’intervallo [tin,tfn] è nullo, e β conseguentemente può essere ricavato dal secondo vincolo:

∫  tfn∫  t1fn
           a    (t) + αφ    (t) + β φ  (t)dt dt = Δs.
  tin   t1in   pert        even        odd    1
(2.10)

Si ha quindi che:

       ∫tf
        tinnapert(t)dt
α = − ∫-tfn----------
       tin φeven (t)dt
(2.11)

      ∫ tfn ∫t1fn                 ∫ tfn∫ t1fn
β = − --tin--t1in-apert(t)dt1dt −-α-tin---t1in--φeven-(t)dt1dt
                    ∫tfn∫ t1fnφodd(t)dt1dt
                     tin  t1in
(2.12)


PIC

Figura 2.3: Risultato dell’applicazione del metodo di correzione all’accelerazione lungo l’asse x. In blu il segnale originale, in rosso il segnale corretto. Si nota, nelle correzioni che vengono effettuate, un offset che cerca corregge la misura della forza di gravità da parte del sensore parzialmente ruotato; nei punti di fermo, ovvero quando il sensore è perpendicolare al terreno, la correzione è quasi nulla.

PIC

Figura 2.4: Risultato dell’applicazione del metodo di correzione all’accelerazione lungo l’asse y. In blu il segnale originale, in rosso il segnale corretto.



PIC

Figura 2.5: Risultato dell’integrazione prima e dopo l’applicazione del metodo di correzione all’accelerazione lungo l’asse x. In blu il segnale originale, in rosso il segnale corretto.

PIC

Figura 2.6: Risultato dell’integrazione prima e dopo l’applicazione del metodo di correzione all’accelerazione lungo l’asse y. In blu il segnale originale, in rosso il segnale corretto.



PIC PIC

Figura 2.7: Accelerazioni e relative correzioni lungo gli assi x (blu) e y (rosso) relative ad una camminata.



PIC PIC

Figura 2.8: Velocità e spostamento lungo gli assi x (blu) e y (rosso) relative ad una camminata. Si notano chiaramente le oscillazioni di velocità che avvengono lungo l’asse y subito prima che il piede raggiunga l’altezza massima.


Nelle figure 2.3 e 2.4 si vede il risultato del metodo appena descritto applicato ad una misura reale. Nelle figure 2.5 e 2.6 invece si confronta il risultato della successiva doppia integrazione: mentre l’integrazione del segnale originale non dà luogo a risultati apprezzabili, l’integrazione del segnale corretto fornisce risultati apprezzabilmente precisi.
Un limite di questo metodo subito evidente già dalle prime sperimentazioni risiede nella scelta, in parte arbitraria, del punto di fermo del piede: uno spostamento anche di soli 50 millisecondi origina risultati visibilmente diversi. Questo fatto rende obbligatoria una scelta del punto di fermo calibrata in base alla camminata che si sta misurando: una camminata con passi veloci ha logicamente il punto di fermo più vicino (nel tempo) all’appoggio del tallone rispetto a una camminata lenta con falcate piuttosto lunghe.
Nelle figure 2.7 e 2.8, 2.9 e 2.10 si mostrano i risultati che si ottengono applicando il metodo a due acquisizioni di due camminate distinte.
È molto interessante notare, nel grafico delle velocità, delle oscillazioni che si verificano lungo l’asse y prima della fine del passo, in corrispondenza con la fine della fase di sollevamento del piede; queste oscillazioni sono presenti in tutte le acquisizioni che sono state fatte, e rispecchiano una caratteristica, evidentemente presente ma inaspettata, della camminata.
La correzione notevole che si ha come offset sull’asse x è dovuta alla rotazione della caviglia, la quale fa sì che il sensore misuri in parte l’accelerazione gravitazionale; si noti a tal proposito che la correzione in prossimità dei punti di fermo è quasi nulla.


PIC PIC

Figura 2.9: Accelerazioni e relative correzioni lungo gli assi x (blu) e y (rosso) relative ad una camminata.



PIC PIC

Figura 2.10: Velocità e spostamento lungo gli assi x (blu) e y (rosso) relative ad una camminata. In questo caso le oscillazioni sull’asse y sono meno marcate ma comunque evidenti.


.

Capitolo 3
Integrazione con altre sorgenti di dati

3.1 Il sistema GPS

Descrizione

Il sistema GPS (Global Positioning System) è un apparato costituito di satelliti in orbita e ricevitori a terra che permette all’utente di localizzarsi in ogni parte del globo terrestre. Al momento della progettazione furono decisi alcuni requisiti minimi che il sistema deve soddisfare al fine di assicurarne l’utilità pratica:

Questi requisiti, unitamente alla disponibilità delle bande di frequenza, collocano la portante del segnale GPS nella zona bassa delle microonde, ovvero tra uno e due Ghz.

Localizzazione dell’utente

L’idea che sta alla base del sistema GPS si basa sul fatto che è possibile, dati tre punti di riferimento nello spazio tridimensionale, conoscere la posizione relativa a questi di un quarto punto.
Siano r1,r2,r3, di coordinate rispettivamente (x1,y1,z1), (x2,y2,z2), (x3,y3,z3), i punti di riferimento con coordinate note; si può allora facilmente identificare le distanze di questi punti dal nostro punto incognito ru = (xu,yu,zu) grazie al teorema di Pitagora:

     ∘  ---------2-----------2-----------2-
d1 =    (x1 − xu ) + (y1 − yu) +  (z1 − zu)

     ∘  -----------------------------------
d2 =    (x2 − xu )2 + (y2 − yu)2 + (z2 − zu)2

     ∘  -----------------------------------
d3 =    (x3 − xu )2 + (y3 − yu)2 + (z3 − zu)2
(3.1)

Il segnale emesso dai satelliti permette di misurare le distanze (d1,d2,d3) nello stesso istante di tempo (come si vedrà in seguito); quindi si ha un sistema di tre equazioni in tre incognite per cui esiste soluzione e che permette di localizzare il punto ru nello spazio.

Misura delle distanze Ogni satellite emette un segnale all’istante tsi che verrà ricevuto più tardi dall’utente all’istante tu. Le onde elettromagnetiche viaggiano alla velocità della luce e questo permette di definire la distanza dal satellite come:

d   = c(t  − t )
  iT      si   u
(3.2)

Nella pratica è quasi impossibile ottenere un corretto riferimento temporale dal satellite o dall’utente: il tempo reale del satellite (tsi) e quello reale dell’utente (tu) si possono considerare legati al tempo esatto secondo le relazioni:

t′ = t  − Δb
 si   si     i
(3.3)

t′u = tu − but
(3.4)

dove Δbi è l’errore sull’orologio del satellite mentre but è l’errore dell’orologio del ricevitore, espresso sotto forma di bias.
Oltre agli errori di tempo ci sono altri fattori che influenzano la misura della distanza, quali:

La distanza dal satellite (chiamata pseudorange) deve quindi essere espressa come:

di = diT +  ΔDi −  c(Δbi − but) + c(ΔTi + ΔIi +  νi + Δ νi).
(3.5)

Alcuni di questi errori posso essere corretti: il ritardo troposferico ad esempio può essere modellato, mentre quello ionosferico può essere corretto con un ricevitore multifrequenza.
Il tempo reale del ricevitore rimane però un’incognita; il sistema di distanze, affinché abbia soluzione, deve essere espanso a quattro equazioni:

     ∘ ---------2------------2-----------2
d1 =   (x1 − xu)  + (y1 − yu) + (z1 − zu) + bu

     ∘ -----------------------------------
d2 =   (x2 − xu)2 + (y2 − yu)2 + (z2 − zu)2 + bu

     ∘ -----------------------------------
d3 =   (x3 − xu)2 + (y3 − yu)2 + (z3 − zu)2 + bu

     ∘ -----------------------------------
d4 =   (x4 − xu)2 + (y4 − yu)2 + (z4 − zu)2 + bu
(3.6)

dove bu è l’errore di bias sul tempo dell’utente espresso in distanza, che vale bu = cbut.
Sono quindi necessari almeno quattro satelliti per poter calcolare la posizione attuale dell’utilizzatore.

Calcolo della posizione in assenza di errori Per brevità si indica con dr la distanza dal satellite, con (xr,yr,zr) le coordinate (note) del satellite ma con (X,Y,Z) quelle dell’utente; si ricordi che il sistema di coordinate è centrato e fisso rispetto alla Terra.
Prendendo in considerazione solo una delle equazioni del sistema 3.1 si ottiene:

d2 = (x − X )2 + (y − Y)2 + (z − Z)2

    2     2    2   2    2    2
= X◟--+--Y◝◜-+-Z-◞+x   + y +  z −  2Xx −  2Y y − 2Zz
      r2+Crr
(3.7)

dove r è il raggio terrestre e Crr il bias di correzione dell’orologio. Si ottiene quindi:

d2 − (x2 + y2 + z2 ) − r2 = Crr − 2Xx − 2Y y − 2Zz
(3.8)

che è una equazione in quattro incognite.
Considerando contemporaneamente quattro satelliti si ottiene il sistema:

d21 − (x21 + y21 + z21) − r2 = Crr − 2Xx1 − 2Y y1 − 2Zz1

 2     2    2   2     2
d2 − (x 2 + y2 + z2) − r = Crr − 2Xx2  − 2Y y2 − 2Zz2

d23 − (x23 + y23 + z23) − r2 = Crr − 2Xx3 − 2Y y3 − 2Zz3

 2     2    2   2     2
d4 − (x 4 + y4 + z4) − r = Crr − 2Xx4  − 2Y y4 − 2Zz4
(3.9)

che è risolvibile in questa forma:

⌊                          ⌋   ⌊                        ⌋ ⌊      ⌋
  d21 − (x21 + y21 + z21) − r2       − 2x1  − 2y1 − 2z1  1      X
|| d22 − (x22 + y22 + z22) − r2 ||  ||  − 2x2  − 2y2 − 2z2  1 || ||  Y   ||
⌈ d2 − (x2 + y2 + z2) − r2 ⌉ = ⌈  − 2x3  − 2y3 − 2z3  1 ⌉ ⌈  Z   ⌉
    32    32    32    32     2
  d 4 − (x4 + y4 + z4) − r        − 2x4  − 2y4 − 2z4  1      Crr
(3.10)

Calcolo della velocità dell’utente In questo caso si deve prendere in considerazione la variazione della posizione tra due misure successive:

                  ¯                 ¯                 ¯
d¯=  (x −-X-)(x¯−-X--) +-(y-−-Y-)(¯y −-Y-)-+-(z −-Z)(¯z-−-Z-)
                              d
(3.11)

dove d è il rate di cambiamento della distanza (conosciuto), (x,y,z) è la velocità del satellite (conosciuto) e (X,Y ,Z) è la velocità dell’utente. Dalla 3.11 si ottiene direttamente:

      1
− ¯d + -[¯x(x − X ) + ¯y(y − Y ) + ¯z(z − Z )]
      d

   (                              )
     x −-X--¯   y-−-Y-¯    z −-Z-¯
=      d   X +    d   Y +    d   Z
(3.12)

e il conseguente sistema di tre equazioni può essere risolto in questo modo:

⌊  −d¯1 + -1 [x ¯1(x1 − X ) + ¯y1(y1 − Y) + ¯z1(z1 − Z)] ⌋
⌈    ¯   d11                                        ⌉
   −d2 + d21 [x ¯2(x2 − X ) + ¯y2(y2 − Y) + ¯z2(z2 − Z)]
   −d¯3 + d3 [x ¯3(x3 − X ) + ¯y3(y3 − Y) + ¯z3(z3 − Z)]

  ⌊  x1−X-¯   y1−Y-¯  z1−Z-¯ ⌋ ⌊     ⌋
       d1  X    d1 Y     d1  Z      ¯X
= |⌈  x2−dX-¯X   y2d−YY¯  z2−dZ-¯Z |⌉ ⌈  ¯Y  ⌉
     x32−X-¯X   y32−YY¯  z32−Z-¯Z      ¯Z
       d3       d3       d3
(3.13)

Coordinate sferiche Per comodità si usa esprimere la posizione in coordinate sferiche (latitudine, longitudine e altitudine), che è il sistema usualmente utilizzato in cartografia. È quindi necessario convertire le coordinate cartesiane (xu,yu,zu) trovate nella soluzione del sistema di equazioni 3.6.
La latitudine della Terra va da 90° a -90° con 0° all’equatore; la longitudine da 180° a -180° con 0° sul meridiano di Greenwich; per altitudine si intende lo scostamento radiale rispetto alla superficie della Terra.
Se la Terra fosse perfettamente sferica queste coordinate risulterebbero facili da ricavare nel seguente modo.
La distanza dal centro della Terra vale:

    ∘ -------------
r =   x2u + y2u + z2u
(3.14)

la latitudine:

           (           )
L  = tan− 1  ∘---zu----
 c             x2 + x2
                u    u
(3.15)

la longitudine:

          (   )
l = tan− 1  yu-
            xu
(3.16)

e infine l’altitudine:

h = r − re
(3.17)

dove re rappresenta un ideale raggio medio terrestre.
In realtà la Terra non è né sferica né tantomeno liscia; in realtà le coordinate vengono ricavate su un modello geodetico chiamato WGS84 (World Geodetic System), che è lo standard internazionale per le coordinate di navigazione rilasciato nel 1984.

Scelta dei satelliti Generalmente un ricevitore GPS in regime di funzionamento può ricevere, simultaneamente, i segnali di un numero compreso tra 4 (minimo indispensabile) e 11 satelliti. Sotto queste condizioni ci sono almeno due strategie che si possono utilizzare:

1.
si usano contemporaneamente i segnali di tutti i satelliti;
2.
se ne usano comunque soltanto quattro.

Generalmente l’approccio adottato è il primo, che ha il vantaggio di riuscire a ottenere una precisione migliore ma che ha bisogno di più potenza di calcolo.
Nel secondo caso l’idea è di scegliere la combinazione di satelliti che massimizza il volume del solido che ha i satelliti stessi come vertici.
Questa semplice proprietà massimizza l’angolo di incidenza delle sfere di segnale emesse dai satelliti e permette un’accurata misura della posizione; infatti tanto più piccolo è l’angolo di incidenza tra le sfere (ovvero i satelliti coprono un angolo più acuto se guardati dal punto di utilizzo), tanto più i bordi delle sfere che passano per il punto di utilizzo saranno tangenti, rendendo meno accurata la misura.

Caratteristiche del sistema

Orbite Il sistema GPS consta di 24 satelliti (28 dal marzo 2006) attivi, distribuiti uniformemente su sei orbite circolari con quattro satelliti ciascuna. Le orbite sono inclinate di 55° rispetto all’equatore e tra loro di multipli di 60°; sono approssimativamente circolari, non geostazionarie, con un raggio di 26560 km e un periodo di rivoluzione di mezzo giorno siderale (circa 11,967 ore).
Teoricamente questa disposizione permette contemporaneamente la visibilità di tre o più satelliti in quasi ogni punto della superficie terrestre a qualsiasi ora del giorno o della notte.

Segnali Ogni satellite trasporta quattro orologi atomici, due al cesio e due al rubidio, che forniscono le informazioni di temporizzazione necessarie alla trasmissione dei segnali.
È in funzione un sistema di correzione automatica degli orologi assistito dalle stazioni di controllo a terra, che effettua correzioni periodiche. I satelliti trasmettono due segnali (L1,L2), il primo con portante a f1 = 1, 57543 Ghz e l’altro f2 = 1, 2276 Ghz, che sono multipli interi di una frequenza base comune di f0 = 1023 Mhz (f1 = 1540f0,f2 = 1200f0). Entrambi trasmettono un segnale codificato in BPSK (binary phase shift keying); il primo è modulato da due pseudorandom codes (PRN), l’altro solo dal secondo PRN. Il segnale L1 viene trasmesso a un livello minimo di 478.63W (26,8dBW) EIRP (Effective Isotropic Radiated Power), il che significa che il ricevitore a terra riceve un segnale equivalente a quello che avrebbe ricevuto se fosse stato trasmesso da un’antenna isotropica a quella potenza.
In realtà viene emessa una potenza minore su un cono con angolo al vertice di circa 30° diretto verso la Terra. Il segnale, mentre si propaga verso la Terra, perde densità di potenza a causa della propagazione sferica.
La perdita può essere quantificata con il free-space loss factor (FSLF):

         (   λ  )2
F LSF  =   -----
           4πR
(3.18)

dove λ è la lunghezza d’onda del segnale e R la distanza dall’antenna.
Il FSLF indica la densità frazionaria di potenza ad una distanza di R metri dall’antenna comparata col valore normalizzato unitario λ∕4π metri dal centro di fase dell’antenna.
Considerando quindi un satellite in orbita a 2 × 107m di quota e un segnale con lunghezza d’onda λ = 0.19m, il FSLF vale 5.7 × 1019, ovvero 182.4dB.

Effetto Doppler All’atto della ricezione del segnale da parte dell’utilizzatore si presenta un altro problema: la frequenza a cui i segnali arrivano non è la stessa a cui sono stati emessi; essa viene percepita aumentata o diminuita a seconda che il satellite si stia avvicinando oppure allontanando. Occorre quindi che il ricevitore sia in grado di aggiustare la propria frequenza di ricezione in funzione di questa situazione.
La velocità angolare del satellite può essere calcolata facilmente sapendo il tempo esatto di rivoluzione:

dθ-=  ------------2π------------- = 1,458 × 10− 4rad∕s
dt    11 × 3600 + 58 × 60 + 2,05
(3.19)

e la velocità periferica:

vs = rsdθ-= 26560km   × 1,458 × 10 −4 = 3874m ∕s
      dt
(3.20)


PIC

Figura 3.1: Doppler frequency shift. [17]



PIC

Figura 3.2: Componente della velocità periferica rispetto all’utente in funzione dell’angolo θ. [17]


L’effetto Doppler è causato dalla velocità periferica del satellite rispetto all’utente, che, riferendosi alla figura 3.1, vale:

v  = v sinβ.
 d    s
(3.21)

Esprimendo la velocità in termini di angolo θ, utilizzando il teorema di Pitagora:

A¯S2  = r2+  r2− 2rers cosα = r2 + r2 − 2rerssinθ
        e    s                e    s
(3.22)

quindi:

sinβ- = sinβ- = -re-.
sinα    cos θ   A¯S
(3.23)

Utilizzando quest’ultimo risultato all’interno della 3.21:

     vsrecosθ-   ------vsre-cosθ-------
vd =    A¯S    =  ∘r2--+-r2-−-2r-r-sinθ
                    e    s     e s
(3.24)

Questa velocità può essere disegnata al variare di θ come si vede in figura 3.2.
Quando il satellite è allo zenit rispetto all’utente, la componente della velocità che causa l’effetto Doppler è zero.
L’angolo in cui l’effetto Doppler è massimo si può trovare derivando vd rispetto all’angolo θ, trovando il massimo della funzione vd, che risulta essere:

       ( re)
sin θ =   --  ,θ ≈ 0.242rad
         rs
(3.25)

Per questo valore di θ il satellite risulta essere all’orizzonte della visuale dell’utente.
Con questi dati possiamo calcolare la velocità massima di Doppler vdm, che lungo la direzione orizzontale vale:

v   =  vsre=  3874-×-6368- ≈ 929m/s
 dm     rs       26560
(3.26)

che è una velocità piuttosto elevata. Lo spostamento di frequenza risulta valere, nel caso del segnale L1:

      f v      1575.43 × 929
fd1 = -1-dm-=  --------------≈  4.9kHz
        c         3 × 108
(3.27)

Generalmente l’effetto Doppler causato dal movimento dell’utente è trascurabile, a meno che non si tratti di velivoli ad alta velocità (500 km/h o più).

Il problema della misura del tempo Per determinare la propria posizione il ricevitore GPS deve misurare il tempo che il segnale impiega a viaggiare dal satellite alla Terra: le coordinate spaziali della posizione del satellite sono codificate nel segnale stesso; quindi l’unica incognita rimane la distanza lineare satellite-ricevitore.
Nella pratica il modo più semplice per ottenere questa misura è avere due orologi perfettamente sincronizzati, uno a terra e l’altro sul satellite, e confrontare l’istante in cui il segnale viene ricevuto con l’istante in cui è stato mandato, informazione codificabile nel segnale stesso.
La misura di tempo effettuata all’interno del satellite, quella cioè che marca il segnale trasmesso, può ritenersi sostanzialmente esente da errori: gli orologi a bordo hanno una precisione superiore al nanosecondo (un secondo è definito come la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio-133), e un segnale radio in un nanosecondo percorre circa: 3 × 108 × 1 × 109 = 3 × 101 metri, che è un errore più che accettabile.
I ricevitori a terra presentano invece problemi aggiuntivi: non è pensabile utilizzare un orologio atomico in ricezione, che è pesante, voluminoso e molto costoso; bisogna quindi accontentarsi di orologi meno precisi. Fino a quale precisione si può scendere?
Un orologio con precisione al microsecondo risulterebbe quasi inutile, in quanto in questo caso l’errore salirebbe a circa 3 × 108 × 1 × 106 = 3 × 102 metri. Per ottenere un errore nell’ordine del metro ci vuole una precisione che arrivi almeno a 1(3 × 108) = 0.4 × 108 secondi.
L’errore di bias sulla sincronizzazione non è problematico quando si hanno a disposizione i segnali di quattro satelliti (ovvero il sistema 3.9 ha soluzione esatta); bisogna invece porre particolare attenzione ad altri fattori, quali la risoluzione, la marcia e la deriva.
Per marcia si intende la differenza di velocità rispetto a un altro orologio, ovvero il numero di secondi che guadagna o perde ogni giorno; per deriva si intende la stabilità nel tempo della marcia. Nel caso di un ricevitore GPS l’errore di marcia è compensabile insieme a quello di bias (tutti i satelliti hanno uno stesso errore costante sulla misura del tempo e l’errore di marcia va quindi a sommarsi all’errore di bias), mentre quello di deriva è più deleterio in quanto aggiunge un fattore che varia casualmente in base alle condizioni di lavoro istantanee.

Gli effetti della relatività La teoria della relatività speciale è basata su due postulati fondamentali:

Si prenda in considerazione un esperimento che consiste nell’inviare un raggio di luce verso uno specchio e leggere il tempo che impiega a tornare indietro.
Si indica con Δl la distanza tra l’emettitore e lo specchio. In un sistema di riferimento fermo rispetto all’apparecchiatura dell’esperimento, la luce compie un percorso pari a 2 × Δl in un tempo Δt = 2Δl∕c. Supponiamo invece che l’esperimento sia condotto a bordo di un treno che si muove a velocità uniforme e ci si ponga in un sistema di riferimento stazionario rispetto alla Terra. Dal nostro punto di vista il raggio di luce compie una traiettoria obliqua, quindi la distanza tra l’emettitore e lo specchio vale Δl2 = ∘  -----------------
   (Δl )2 + (Δx  ∕2)2 dove Δx indica lo spostamento longitudinale del treno rispetto all’osservatore, e chiaramente Δl2 è maggiore di Δl. La velocità della luce è però costante per tutti e due i sistemi di riferimento, quindi nel secondo sistema l’esperimento deve durare un tempo Δt2 = 2Δl2∕c > Δt. Considerando che Δx = vΔt, dove v è la velocità a cui si muove il treno, si ottiene:

        ∘ -----------------   ∘  ---------------      ∘  ------------
       2--(Δl)2-+-(Δx-∕2)2-      (Δl)2-  v2Δt22     Δl-      (vΔt2)2-
Δt2 =           c          = 2     c2  +   4c2  = 2 c    1 + 4(Δl )2

     ∘  ------------     ---------------
            (vΔt )2   ∘  c2Δt2 + v2Δt2         Δt
=  Δt   1 + ----2---=    -------------2 = ∘-----------
            (cΔt )2            c2               ( v)2
                                            1 −   c
(3.28)

ovvero l’osservatore fermo percepisce l’evento con una durata dilatata in funzione della velocità a cui si muove l’altro sistema. Se si moltiplica la 3.28 per c si ottiene:

           Δs
Δs2 =  ∘-----(--)2-
         1 −   v-
               c
(3.29)

dove Δs e Δs2 sono i tratti percorsi dalla luce nei due sistemi di riferimento. Questo risultato indica che, insieme ai tempi, si dilatano anche le lunghezze.

Si consideri adesso un segnale elettromagnetico, per il quale vale la relazione c = λf. Grazie all’equazione 3.29 sappiamo che λ può risultare diverso a seconda del sistema di riferimento; se si pone λ = Δs e λ2 = Δs2 si ottiene:

     ∘----λ------
λ2 =       ( v)2
       1 −   --
             c
(3.30)

e dividendo per c:

       ∘ ----(--)--
f  = f   1 −  v- 2
 2            c
(3.31)

ovvero il sistema fermo riceve un segnale a una frequenza più alta di quella emessa nel sistema in movimento.
Se si considerano velocità piccole rispetto a quella della luce si posso utilizzare le espansioni in serie di Taylor:

     1            1 ( v)2
∘-----(--)--= 1 + --  --  + ⋅⋅⋅
       v- 2       2   c
  1 −   c
(3.32)

∘ ----(--)--        (  )
       v- 2       1-  v-2
  1 −  c    = 1 − 2   c   + ⋅⋅⋅
(3.33)

che consentono di ottenere:

Δt2-−--Δt-   Δs2-−-Δs--     f2 −-f-  1-( v)2
   Δt     =     Δs     =  −   f    = 2   c
(3.34)

L’espressione 1
2( )
 v
 c2 può anche essere letta come l’energia cinetica per unità di massa (v2
2) scalata di un fattore 1-
c2, ovvero gli effetti della relatività speciale possono essere interpretati come gli effetti causati dall’energia cinetica del moto. Effetti analoghi potrebbero anche essere causati dall’energia potenziale ΔU dovuta alla presenza di un campo gravitazionale U. Vale quindi:

Δt2-−-Δt-=  Δs2-−--Δs-=  − f2 −-f-= ΔU--.
   Δt          Δs            f       c2
(3.35)

L’effetto relativistico totale può essere quindi espresso come:

                                      (  )2
Δt2-−-Δt-=  Δs2-−--Δs-=  − f2 −-f-= 1-  v-  + ΔU--.
   Δt          Δs            f      2   c      c2
(3.36)

Gli effetti della relatività sul sistema GPS non possono essere ignorati a causa dell’elevata velocità periferica dei satelliti, della differenza di campo gravitazionale non trascurabile e della rotazione della Terra. Per studiarne gli effetti generalmente si considera come sistema di riferimento quello stazionario con centro coincidente con il centro della Terra.
L’effetto diretto più importante che si riscontra è lo spostamento delle frequenze dovuto alla velocità relativa tra i satelliti e il ricevitore ed al campo gravitazionale terrestre.
La frequenza percepita dall’utente (f2) è quindi diversa da quella trasmessa dal satellite (f); per questo motivo occorre correggere il segnale emesso dal satellite affinché l’utente percepisca la frequenza di 1023MHz come da specifica.
È noto che:

             (  )
f2 −-f-    1- v- 2   ΔU--
  f    = − 2  c   −   c2
(3.37)

dove v è la velocità del satellite e ΔU la differenza di potenziale gravitazionale tra la quota dell’utente e quella del satellite.
Si può quindi esprimere il potenziale gravitazionale come:

ΔU  =  ---g-----− -g
       (R + H )   R
(3.38)

dove R 6370km è il raggio della Terra, H 20200km l’altitudine del satellite (rispetto al suolo) e g la costante gravitazionale terrestre.
Il satellite deve quindi trasmettere a una frequenza pari a 1023 4.57 × 109 MHz.
Anche il ricevitore deve però calcolare il proprio offset di frequenza allo stesso modo, considerando il campo gravitazionale nullo e velocità pari a quella periferica della Terra.

3.2 Misura di movimenti mediante accelerometri accoppiati al sistema GPS: stato dell’arte

In letteratura si riscontra un notevole interesse alle possibili applicazioni dei sistemi INS (Inertial Navigation Systems). Questi sistemi, però, non hanno ancora riscosso successo nella pratica proprio a causa dei problemi che sorgono al momento della estrapolazione delle informazioni: l’accumulazione degli errori presenta problemi di non facile soluzione.
Il sistema GPS ha il pregio di poter essere molto preciso: in condizioni ottimali si riesce a ottenere un posizionamento con precisione dell’ordine del centimetro, ma tipicamente la frequenza di acquisizione è bassa, nell’ordine di un’acquisizione al secondo. I sistemi INS hanno invece il pregio di fornire una frequenza di acquisizione alta, nell’ordine del Khz, ma la misura perde velocemente di precisione con il passare del tempo a causa delle derive. Sembra pertanto sensato integrare i sistemi GPS con sistemi INS: mentre il posizionamento satellitare assicura con cadenza regolare una misura precisa, il sistema inerziale è in grado di fornire la risoluzione desiderata tra un campionamento GPS e l’altro.


PIC

Figura 3.3: Diagramma per l’integrazione dei segnali accelerometrici e GPS proposto in [11].


In [11] viene proposta una formulazione del filtro di Kalman appositamente studiata per integrare il posizionamento GPS con misure accelerometriche. In particolare il segnale GPS viene usato per ottenere i punti di misurazione mentre i segnali accelerometrici contribuiscono al processo di predizione per il prossimo stato del filtro. In figura 3.3 viene mostrato il ruolo proposto per il filtro di Kalman all’interno del sistema di processamento dei dati.
Sono particolarmente interessanti le due formulazioni che vengono proposte per le equazioni di aggiornamento e previsione del filtro di Kalman, da applicarsi nei casi in cui:

1.
La frequenza di acquisizione del GPS e degli accelerometri sia la stessa;
2.
Gli accelerometri abbiano una frequenza di acquisizione multiplo intero di quella del GPS;

Il punto 2 è molto interessante ai fini pratici dal momento che la maggior velocità di acquisizione da parte dei sensori accelerometri rispetto ai sistemi satellitari è realtà tecnologica.
In conclusione è stato proposto un sistema che preprocessa gli aspetti non lineari delle acquisizioni GPS e accelerometriche prima di integrarle in un filtro di Kalman; il preprocessing consente di ridurre considerevolmente le dimensioni delle matrici in gioco e quindi ottenere una buona efficienza computazionale, anche se una precisione leggermente ridotta rispetto all’utilizzo diretto di un filtro di Kalman che gestisca sia le non-linearità che l’integrazione contemporaneamente.

In [9] viene proposto un sistema per il posizionamento di persone attraverso un sistema combinato con GPS e accelerometri. Le accelerazioni vengono misurate posizionando il sensore sul torace o sulla schiena: in questo contesto l’accelerometro non viene usato per misurare direttamente la lunghezza del passo, ma i dati accelerometrici vengono usati per stimare il tempo di volo del piede e misurare la frequenza dei passi; in base a questi due parametri viene proposto un modello per stimare la lunghezza della camminata all’interno di un filtro di Kalman che si occupa di integrare questi dati con i posizionamenti dal GPS. La strategia per il posizionamento proposta consiste nei seguenti passi:

1.
Misura approssimata della lunghezza del passo a partire dalla misure di lunghezza del GPS e dal numero di passi contati con le misure accelerometriche;
2.
Calcolo della lunghezza del passo con la procedura di previsione;
3.
Applicazione del filtro di Kalman;
4.
Aggiornamento dei parametri del filtro;
5.
Correzione della misura.

In conclusione questo sistema è in grado di migliorare le misure satellitari, ovvero fornire misure parziali tra un posizionamento GPS e l’altro e correggere parzialmente eventuali vuoti radio temporanei, fino ad ottenere un errore sulla distanza percorsa finale nell’ordine del 2%.

In [15] viene presentata una valutazione dell’utilizzo di ricevitori GPS differenziali per la misurazione di una camminata. I risultati mostrati sono molto incoraggianti: nonostante la frequenza di campionamento relativamente bassa la posizione del piede viene individuata con precisione.
Questo suggerisce la possibilità concreta di apportare correzioni efficaci al metodo proposto nel capitolo 2 imponendo, con lo stesso metodo di correzione utilizzato per correggere la misura dell’alzata, la posizione giusta sull’asse in direzione del moto.

Conclusioni

Questo lavoro ha preso in considerazione da più punti di vista il problema di ricostruire un movimento a partire da segnali accelerometri, eventualmente coadiuvati da misure esterne.
Nella prima parte è stato svolto uno studio delle problematiche relative alla ricostruzione diretta di semplici movimenti e sono stati proposti e valutati più metodi, tutti espressamente semplici e computazionalmente leggeri.
I metodi proposti hanno dato luogo a dei risultati non eccellenti ma comunque accettabili: anche se sono applicabili solo in contesti specifici, i risultati non sono molto distanti da quanto si trova attualmente in letteratura.
I filtri di Kalman sono stati presi in esame in quanto soluzione al problema al momento più in voga in letteratura. Dallo studio fatto è risultato che questi filtri non sono utilizzabili efficacemente nel contesto dello studio della camminata a partire dai soli segnali accelerometrici; infatti senza informazioni aggiuntive specifiche, quali un modello del moto e rilievi di posizione periodici, questi filtri non sono applicabili in maniera efficace.
Uno dei risultati di questo lavoro è che a primo acchito il problema preso in esame non ha una soluzione semplice né esistono metodi effettivi ed autonomi per la correzione delle derive stocastiche; è molto più produttivo prendere in esame un contesto particolare e sfruttarne le proprietà per apportare correzioni contestuali alle misure.
Successivamente è quindi stato preso in esame il problema specifico di ricostruire il movimento del piede durante una camminata, ovvero misurare l’alzata e la lunghezza dei singoli passi.
A questo scopo è stato ideato e proposto un metodo che sfrutta il rilevamento dell’appoggio del piede a terra per apportare correzioni alle derive delle misure accelerometriche. I risultati di questo metodo sono promettenti, il passo viene misurato con buona precisione ma il problema delle derive, e quindi della perdita progressiva di precisione con il passare del tempo, rimane.
Per cercare una soluzione al problema delle derive si è quindi preso in esame la possibilità di integrare le misure accelerometriche con altri sistemi di posizionamento, primo tra tutti il Global Positioning System.
È stato fatto uno studio del funzionamento del sistema per capirne le potenziali performance e scoprirne i principali problemi: limitatamente a contesti particolari, quali spazi aperti o spazi chiusi in presenza di apparecchiature specifiche, questo sistema sembra essere adatto allo scopo.
In letteratura si trovano molte proposte di tecniche per accoppiare sistemi GPS a misure accelerometriche, ma quasi tutte hanno il fine, diverso da quello di questo lavoro, di migliorare la misura del GPS usando i segnali accelerometrici.
Non è stato possibile effettuare sperimentazioni significative con questi sistemi: i ricevitori GPS in commercio per il mercato consumer sono (sperimentalmente) decisamente poco precisi (benché siano sufficientemente precisi per svolgere un tracciamento praticamente utile di un autoveicolo, gli errori nell’ordine del metro sono ovviamente troppo grandi per misurare dei passi); in commercio esistono dei ricevitori che promettono precisioni nell’ordine del centimetro, ma si sono rivelati economicamente inarrivabili per poter essere acquistati e sperimentati in questo contesto.

Appendice A
Un breve sguardo alle implementazioni

La scelta di Python come linguaggio per implementare i metodi presentati in questo lavoro è stata naturale: grazie alle librerie numpy e MatPlotLib Python offre, almeno per quanto riguarda gli aspetti base del calcolo (più che sufficienti in questo contesto), un’interfaccia sufficientemente simile a Matlab, che risulta agevole sia nella stesura che nella lettura; Python ha inoltre il vantaggio di essere un linguaggio libero, completo, estremamente portabile e performante almeno quanto Java.

Per l’implementazione è stata scelta una struttura modulare che permette di utilizzare metodi di calcolo diversi riutilizzando tutto il codice che si occupa di disegnare i grafici e di acquisire o salvare i dati scambiati con l’accelerometro. In particolare sono state definite tre classi:

La prima si occupa di dialogare con l’accelerometro via bluetooth, la seconda implementa un metodo matematico mentre l’ultima funge da interfaccia con l’utente, occupandosi di salvare o caricare i dati su/da file, di disegnare i grafici e di comunicare con le altre due.

DataCollector

L’acquisizione in tempo reale dei dati via bluetooth è delegata a un semplice modulo software implementato appositamente per questo scopo: la classe DataCollector. L’idea che sta alla base di questa classe è molto semplice; un DataCollector è un oggetto che:

Di seguito una breve descrizione dell’interfaccia fornita:

1class DataCollector: 
2 
3        def connectToDevice(self,port,baudrate): 
4#Apre il canale seriale verso la porta specificata. 
5#Su linux, ad esempio, /dev/rfcomm0. 
6 
7        def disconnectFromDevice(self): 
8#Chiude il canale seriale. 
9 
10        def startRecordingData(self): 
11#Inizia a registrare i dati invece di scartarli. 
12 
13        def stopRecordingData(self): 
14#Smette di registrare i dati ed inizia a scartarli. 
15 
16        def getConnectionStatus(self): 
17#Dice se il canale è chiuso o aperto, restituisce un bool 
18 
19        def setDataPacketSize(self, size): 
20#Imposta la dimensione del blocco dati per laccodamento 
21 
22        def getDataPacket(self): 
23#Toglie un pacchetto di dati dalla coda se cè e lo 
24#restituisce, altrimenti si blocca in attesa del prossimo 
25#pacchetto. 
26 
27        def dropDataQueue(self): 
28#Svuota la coda.

MathMethod

Il calcolo effettivo della posizione dell’accelerometro nelle tre dimensioni è delegata a una qualsiasi istanza della classe Method. Questa classe svolge una funzione di calcolo “semi-realtime”, nel senso che ha sempre in memoria tutti i dati che gli sono stati passati con il metodo compute, ma è libera di calcolare i dati relativi all’accelerazione e allo spazio indietro nel tempo a discrezione del metodo matematico utilizzato, a condizione che la lunghezza degli array dei dati sia sempre consistente.
Di seguito una breve descrizione dell’interfaccia fornita:

1class Method: 
2 
3        def setDataPacketSize(self,ps): 
4#Imposta la dimensione dei pacchetti di dati 
5 
6        def setSamplesLimit(self,sl): 
7#Il numero massimo di dati da tenere in memoria 
8 
9        def calibrateOffsets(self, AX,AY,AZ): 
10#Calibra loffset sui tre assi a partire da un numero 
11#arbitrario di pacchetti di dati 
12 
13        def compute(self,aX,aY,aZ): 
14#Aggiunge al calcolo un nuovo pacchetto di dati 
15 
16        def getComputedData(self): 
17#Restituisce gli array con i dati calcolati

Locator

Questa classe è nata come “collante” tra il metodo matematico, l’interfaccia seriale e l’utente: mentre queste ultime due difficilmente saranno soggette a cambiamenti, Locator è pensata per essere plasmata in base allo scopo ultimo dell’applicazione. In questa implementazione ci si limita a offrire la possibilità di salvare e leggere da file i dati accelerometrici grezzi, e di disegnare su grafico o in 3D tramite OpenGL il risultato dell’elaborazione del metodo.
È stata implementata anche DoubleLocator, che si avvale di due DataCollector e due Method per acquisire e processare i dati di due accelerometri contemporaneamente al fine di studiare una camminata completa.


PIC

Figura A.1: Esempio di tracciamento in 3D, la visuale è ruotabile e zoomabile.



PIC

Figura A.2: Esempio di tracciamento in monodimensionale


Appendice B
Accelerometro usato per le sperimentazioni

Le sperimentazioni sono state fatte usando un modulo accelerometrico wireless basato sul sensore integrato LIS3L02AQ3 della STelectronic. Il modulo accelerometrico ha a bordo:

Le principali caratteristiche hardware dell’accelerometro sono riassunte in tabella B.1. La frequenza di campionamento dipende in primo luogo dalla velocità di trasmissione del sistema bluetooth e quindi dalla risoluzione: le sperimentazioni sono state eseguite con una frequenza di campionamento di circa 1Khz su tre assi ad 8bit. L’hardware permetterebbe di salire in risoluzione, ma per esempio già a 10bit la trasmissione wireless non è abbastanza veloce da permettere l’acquisizione ad 1Khz su tutti e tre gli assi, ovvero è necessario abbassare la frequenza di campionamento oppure diminuire il numero di assi considerati.







Parameter Test Condition Min Typ Max





Acceleration Range ±5.4 ±6.0





Sensitivity Full Scale = 6g Vdd/15 10Vdd/15Vdd/5 + 10





Sensitivity change vs temp.Delta from +25°C ±0.01





Zero-g lev. change vs temp.Delta from +25°C ±0.8





Operating temp. range 40 +85






Tabella B.1: Dati dell’accelerometro LIS3L02AQ3


PIC

Figura B.1: Modulo accelerometrico, sono chiaramente visibili lo slot SDcard, il modulo RF Bluetooth, i controlli onboard, l’interfaccia seriale, il PIC, il sensore accelerometrico.


B.1 Misure sperimentali

B.1.1 Velocità di campionamento

Sono stati eseguiti dei test per valutare la reale velocità di acquisizione (tabella B.2). L’accelerometro esegue circa 947 campionamenti al secondo; le fluttuazioni della tabella sono dovute alla temporizzazione non perfetta, conseguenza diretta dell’implementazione multithreading, che ha un effetto rilevante sui campionamenti di durata breve.






Tempo di campionamentoNumero misureByte ricevutiCampioni per asse / sec




1sec 32 3761.97 940.492




10sec 15 37817.8 945.445




100sec 32 378722.0 946.805





Tabella B.2: Velocità di acquisizione e trasmissione via Bluetooth.

B.1.2 Scala e risoluzione

Misurando l’accelerazione di gravità si sono ottenuti dei valori leggermente diversi da quelli che ci si sarebbe aspettati dalle specifiche. In particolare l’apparecchio ha una risoluzione minore ed i fondi scala inferiore e superiore non corrispondono a 0 e a 255 rispettivamente ma sono ristretti all’interno di questo range, come si vede in tabella B.3.










0g 1g 1g2g in digits +6g 6g risoluzione








Asse X139156120 36 139+18*6=247139-18*6=31 0.0597








Asse Y143160126 34 143+17*6=245143-17*6=41 0.0555








Asse Z140157121 36 140+18*6=248140-18*6=32 0.0555









Tabella B.3: Scala e risoluzione.

Ringraziamenti

Desidero ringraziare la mia famiglia, che mi ha dato la possibilità di intraprendere questa strada e soprattutto mi ha dato sostegno nei momenti di difficoltà.
Un ringraziamento all’ingegner Maria Luigia Macirella e al dottor Paolo Rosa Clot, sempre disponibili quando ho avuto necessità.
Un grazie di cuore a tutti gli amici che mi hanno accompagnato ed aiutato in questi anni di studio, e un ringraziamento particolare a Tiziana per l’impagabile supporto morale e letterario.

Elenco delle figure

1.1 Misure su un asse ad accelerometro fermo
1.2 Risultato della funzione di smoothing a finestra
1.3 Risultato metodo app. tolleranze
1.4 Risultato della funzione di smoothing a polinomio interpolante
1.5 Risultato metodo app. polinomiale
1.6 Confronto metodi tolleranze/app. polinomiale
1.7 Risultato metodo integrazione localizzata
1.8 Confronto metodi tolleranze/integraz. localizzata
1.9 Integrazione senza vincoli, movimento assiale
1.10 Integrazione con vincoli, movimento assiale
1.11 Esempio della nave
1.12 Esempio della nave, v1
1.13 Esempio della nave, v2
1.14 Funzione di esempio per Kalman: a(t) vs apert(t)
1.15 Funzione di esempio per Kalman: a(t) vs asmooth(t)
1.16 Funzione di esempio per Kalman: a(t) vs aKalman(t)
1.17 Filtro di Kalman bidimensionale
1.18 Lavori analoghi, risultati di Liu e Pang
1.19 Lavori analoghi, risultati di Liu e Pang
1.20 Lavori analoghi, altri risultati
2.1 Esempio di acquisizione
2.2 Punti di appoggio
2.3 Correzione dell’accelerazione (x)
2.4 Correzione dell’accelerazione (y)
2.5 Correzione dello spostamento (x)
2.6 Correzione dello spostamento(y)
2.7 Camminata veloce, accelerazioni
2.8 Camminata veloce, velocità e spostamento
2.9 Camminata normale, accelerazioni
2.10 Camminata normale, velocità e spostamento
3.1 Doppler frequency shift
3.2 Doppler in funzione dell’angolo
3.3 Integrazione GPS e accelerometri
A.1 Esempio di tracciamento in 3D, la visuale è ruotabile e zoomabile.
A.2 Esempio di tracciamento in monodimensionale
B.1 Modulo accelerometrico

Elenco delle tabelle

B.1 Dati dell’accelerometro LIS3L02AQ3
B.2 Velocità di acquisizione e trasmissione via Bluetooth.
B.3 Scala e risoluzione.

Bibliografia

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